Nell’arte di tutti i tempi, si ritrovano sempre opere in cui l’iconografia del corpo, dai nudi ai ritratti, è soggetta a riflessioni sulla gioia o sul dolore, sulla contrapposizione fra materia e spirito o sulla necessità di spogliarsi di un’apparenza per assumerne un’altra.
Anche Gianluca Ripepi, in molti suoi lavori, riflette proprio sulla figura umana, lasciandosi trascinare dalla fantasia in un mondo inquieto, ma a volte pure inquietante, attraverso contenitori di sensazioni imprigionate in strutture e spazi fantastici o, comunque, irreali.
Le invenzioni costruttive dai tagli scompigliati, però tecnicamente ordinati, creano un cosmo d’energie, dovuto non solo alle invenzioni segniche e simboliche, ma soprattutto cromatiche.
In una delle composizioni più significative, “Pacchetto classico”, lo spazio ristretto in cui l’autore ha chiuso (un po’ alla Christo) una testa quasi rassegnata - per nulla pronta a gridare con voce forte di spada, come ci si aspetterebbe da un volto costretto dentro simile manufatto - mostra la paura di un essere umano a ribellarsi alla costrizione, al soffocamento e all’incomunicabilità.